Il caso: una "prima casa" oltre i 240 mq
L'ordinanza della Corte di Cassazione n. 2503, depositata il 3 febbraio 2025, si inserisce nel solco del contenzioso riguardante la fruizione del beneficio "prima casa", con particolare riguardo al requisito della non "lussuosità" dell'immobile. Il caso nasce da un accertamento dell'Agenzia delle Entrate, che aveva revocato l'aliquota IVA agevolata del 4% applicata all'atto di acquisto di un immobile sito a Bergamo, in quanto considerato abitazione di lusso, avendo – secondo l'Ufficio – una superficie utile complessiva superiore ai 240 mq, soglia fissata dal D.M. 2 agosto 1969, n. 1072.
I contribuenti avevano contestato tale calcolo, sostenendo – anche tramite perizia – l'errata inclusione nel computo di locali come autorimessa, soffitta e piano interrato, che, secondo la difesa, non dovevano essere considerati nel calcolo della superficie utile. Dopo una pronuncia favorevole in primo grado, la CTR della Lombardia aveva accolto l'appello dell'Amministrazione finanziaria, e tale decisione è stata ora confermata dalla Cassazione.
Superficie utile: conta l'effettiva fruibilità, non la destinazione catastale
La Corte ribadisce il principio già espresso in precedenti arresti: ai fini della verifica della "lussuosità" dell'immobile, ciò che rileva è la superficie "utilizzabile" degli ambienti, e non la loro abitabilità in senso tecnico-giuridico o la loro destinazione catastale. L'art. 6 del D.M. 2 agosto 1969 esclude espressamente dal computo solo balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchina. Tuttavia, se locali come cantine e soffitte risultano direttamente collegati all'abitazione e concretamente utilizzabili (ad esempio come lavanderia, ripostiglio, locale pluriuso), essi vanno computati nella superficie utile.
Nel caso di specie, il piano interrato ospitava locali funzionali alla vita domestica (lavanderia, doccia, locale pluriuso) collegati all'unità immobiliare attraverso scala interna all'unica proprietà. Anche il secondo piano, pur composto da locali con altezza ridotta, comprendeva spazi utilizzabili (guardaroba, disimpegno, ripostigli). Pertanto, in base a un accertamento di merito non sindacabile in sede di legittimità, la superficie utile risultava superiore a 240 mq.
Sanzione per dichiarazione mendace: il ruolo dell'acquirente
La sentenza affronta anche la questione della sanzione amministrativa del 30% prevista dall'art. 1, nota II-bis, punto 4, della Tariffa allegata al D.P.R. 131/1986, in caso di dichiarazione mendace finalizzata alla fruizione dell'agevolazione. La Cassazione conferma che tale sanzione può essere irrogata anche se l'acquirente ha semplicemente dichiarato il possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi richiesti, poi risultati inesistenti. Non è necessario un dolo specifico: basta la colpa, e l'effettiva mancanza delle condizioni per godere del beneficio.